Ucraina, Russia, USA. La piccola Europa non sa che fare

Più di 5000 morti in circa dieci mesi, la crisi ucraina diventa sempre più nera riportando tra Mosca e Washington un clima che non si respirava di tempi della guerra fredda.
La cortina di ferro che sembra ripresentarsi, lo fa spogliata dei suoi motivi ideologici. Un muro contro muro tra le potenze che nel ‘900 la facevano da padrone si mostra con tutta la disillusione degli interessi geopolitici.
La scintilla che ha condotto alla deflagrazione ha avuto luogo nella piccola penisola della Crimea, un piccolo settore di terra emersa sulle sponde settentrionali del Mar Nero che copre un’importanza strategica non indifferente, rappresentando la possibilità di un accesso diretto al Mediterraneo.
La questione ucraina è andata via via degenerando sino alla vera e propria guerra civile nel Donbass. Le parti si accusano vicendevolmente, Poroshenko denuncia la presenza di militari russi tra i ribelli indipendentisti mentre dal Cremlino si accusa il governo ucraino di essere nato all’indomani di un colpo di stato.

Ukraine, Donbass Region

Ukraine, Donbass Region

Gli USA che, dopo gli anni della famiglia Bush, sembrano riprendere posizioni guerrafondaie si dichiarano pronti ad armare l’Ucraina, a dirlo è il New York Times citando fonti vicine alla Casa Bianca, una sorta di “Facciamo la guerra a Putin ma… da lontano“.
Anche la NATO parrebbe, qualora vi fosse la necessità, disponibile all’appoggio militare e lo fa sapere per bocca del generale Philip Breedlove, comandante delle forze NATO in Europa.

Tra i due giganti l’Europa che fa?
Le sanzioni emanate contro Mosca già vanno ritorcendosi contro il vecchio continente dipendente, come un neonato dal latte materno, dalle materie prime (gas su tutte) provenienti dal vicino sovietico.
D’altro canto il rapporto che lega l’Europa agli Stati Uniti è fortemente consolidato, detto fuori dai denti si tratta di un rapporto fondato sulla sudditanza dell’una nei confronti degli altri.
La stessa opinione pubblica si spacca. Vi è chi, nostalgico del blocco sovietico o semplicemente antiamericano, vede in Vladimir Putin la figura del “Liberatore in pectore” e chi, al polo diametralmente opposto, sogna una pax americana globale che la storia ha dimostrato non essere poi così tanto “pax“.

La piccola Europa si trova proprio nella scomoda posizione di chi sa che qualunque cosa decida, sarebbe sempre e comunque la scelta sbagliata.

Occidente, quanto sei fragile?

7 Gennaio 2015.
Philippe, uomo anonimo con un lavoro qualunque, con una vita qualunque (talvolta insoddisfacente), vive nella 10 Rue Nicolas-Appert. In questa fredda mattina dell’inverno francese Philippe si sveglia e si ritrova catapultato nel centro di Baghdad, in qualche angusta stradina di Nassiriya, da qualche parte nel grigio ghetto di Gaza.
Dal tepore del suo letto, Philippe capisce: la Francia è “sotto attacco!”.
La stessa impressione è quella avuta l’11 Marzo 2004 da Beatriz, giovane donna Madrilena, oppure da Jhon, uomo d’affari londinese, il 7 Luglio 2005.
L’Occidente “portatore di pace” si ritrova, ogni volta con la medesima sorpresa, in un clima di guerra. Lo stesso presidente Hollande lo ha dichiarato all’indomani dell’attentato a Charlie Hebdo “la Francia è in guerra!”.

In guerra dunque… ma contro chi?
Si è detto che gli attentatori fossero francesi è quindi una guerra civile? No, gli attentati erano di matrice islamica!
Si tratta allora di una guerra religiosa? No, è una guerra contro “l’estremismo islamico e il terrorismo”.

«O genti, state attente all’estremismo in fatto di religione, perché popoli del passato sono stati distrutti a causa del loro estremismo».

Noi crediamo in Dio, in quel che ci ha rivelato, e in quello che ha rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle tribù, in quel che è stato dato a Mosé e a Gesù, e in quel che è stato dato ai Profeti dal Signore: noi non facciamo differenza alcuna con nessuno di loro. A Lui noi siamo sottomessi.

La prima citazione si ritiene sia stata proferita da Maometto, mentre la seconda è tratta dal Corano. Risulta evidente che l’estremismo islamico di cui si parla è cosa ben diversa dall’ Islam. Fugando ogni teoria complottista di cui in questa sede non si vuole parlare, sarebbe bene chiamare le cose con il proprio nome, non utilizzare parole ad arte per creare confusione e generare sospetto verso “l’altro”.
I fatti di Parigi si sono trasformati nella più becera propaganda sionista, anti-islamica e nell’affermazione del “cavaliere portatore di pace e dall’armatura lucente” occidentale.

Per quanto riguarda il “terrorismo” il problema diventa etico. Esiste un terrorismo buono e uno cattivo? Si può attuare una distinzione netta tra il terrorismo generato dai tre uomini di Parigi e quello condotto dai numerosi raid aerei che a partire dal 2003 gli Stati Uniti, con l’appoggio delle “forze di pace europee” hanno condotto sulle popolazioni di Iraq e Afghanistan?

L’Europa, il cuore culturale dell’occidente, si è svegliata più fragile che mai.
Non si tratta di una fragilità derivata dall’integrazione in se, come si ostinano a dichiarare alcuni esponenti dei partiti della destra ultranazionalista e xenofoba; la fragilità dell’occidente deriva da un’integrazione incompleta. Aver costretto individui a una mitosi della propria identità. “Va bene il Kebhab, ma la moschea non la vogliamo. Ossequi a Khalil Gibran ma con il velo qui non ci entri!”
Per il futuro non si tratterà di difendere la propria identità, quanto di metterla perennemente in discussione. Domandarsi cos’è l’identità? è qualcosa di fisso e immutabile?

Il titolo di quest’articolo ricopre una duplice veste, quanto è fragile l’occidente inteso come parte geografica del mondo e quanto lo è come identità immobile strenuamente difesa?

Mare Nostrum, Custode di Anime

800 morti in 5 giorni, una media di circa sette morti all’ora. Questo non è un nuovo bollettino appena giunto da Fallujah, da Baghdad, da Gaza, è bensì il bilancio di una settimana orribile, l’ennesima, tra le sponde dell’Africa maghrebina e quelle dell’Europa meridionale.

Giace tra i due continenti un mostro placido e passivo, quello che gli antichi Romani chiamarono Mare Nostrum, che inghiottisce con pigra ingordigia uomini, donne e bambini indiscriminatamente. A ben guardare il Mediterraneo non è affatto un mostro, si potrebbe definire più come un custode, il custode delle anime dei dannati della terra, figli generati da un malessere geopolitico contingente e dalla schizofrenia di Madama Europa che, tra l’altro, sembra aver dimenticato che l’intero patrimonio artistico-culturale di cui si forgia si basa su secoli di contaminazioni (si pensi alle bellezze architettoniche di Granada, o ai numerosi abraismi nella lingua italiana).

Eppure, oggi più che mai, in Europa vengono esposte argomentazioni, più o meno credibili, in dibattiti che affrontano l’abnorme dubbio pseudo-amletico ospitare o non ospitare? o più semplicemente, parafrasando lo scritto leniniano, ci si interroga sul Che fare, e sempre più spesso la risposta a tale domanda è “aiutiamoli a casa loro”.
Una frase così lapidaria è altresì ricca di significati: ebbene “aiutiamoli” sembrerebbe palesare un commovente slancio di benevolenza che, però, subito va a scontrarsi contro il nazionalismo di chi dice “questa è casa mia” o contro la paura della contaminazione di chi afferma “se ne stiano a casa loro”.

La stessa operazione Mare Nostrum di cui l’Italia può vantarsi non sembrerebbe altro che il frutto, falsamente benevolo, della paura della contaminazione, della paura di immettere in circolazione entità aliene alla cultura e alla società occidentali; di fatti la “merce umana”, una volta recuperata, viene collocata all’interno di appositi “magazzini d’accoglienza” e di li non ne esce se non in direzione del rispettivo paese d’origine o di altri paesi europei, dove poi, la stragrande maggioranza delle volte, vene rifiutata.

La frase “aiutiamoli a casa loro” rivela anche la suddetta schizofrenia: molti degli 800 che i media si ostinano a chiamare migranti o clandestini erano in realtà profughi o avevano diritto allo status di rifugiato o erano in condizione di poter chiedere asilo politico.

Dunque non ci si trova dinanzi a persone che scelgono liberamente di andare a cercare fortuna in un altro paese, caso in cui comunque non vi sarebbe nulla da obiettare, ma si assiste a una moltitudine in fuga da situazioni che l’Europa e l’occidente hanno contribuito a creare. Gheddafi è stato legittimato da tutti i leaders di governo occidentali in vent’anni,  e queste sono le parole dell’ex segretario di stato americano Hilary Clinton riguardo l’Isis: «È stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler creare una guerriglia anti Assad credibile. Era formata da islamisti, da secolaristi, da gente nel mezzo. Il fallimento di questo progetto ha portato all’orrore a cui stiamo assistendo oggi in Iraq».

La situazione è drammatica, ancor prima che pericolosa, ed è evidente che gli Stati Uniti d’America non potranno continuare ad agire come sceriffo mondiale, causando più danni di quanti ne risolvano, così come l’Europa deve decidersi, una volta e per tutte, a dismettere e gettare via gli abiti del fido Sancho Panza.

Forse quel mostro placido e passivo, quello che gli antichi Romani chiamarono Mare Nostrum, ha fagocitato, insieme ai corpi degli 800, anche un altro piccolo grande pezzo di humanitas.